lo scorso fine settimana sono andata per due giorni a Monaco, con una piccola tappa a Dachau, così ho pensato che sarebbe stato interessante condividere la mia esperienza con voi.
Il progetto prevedeva una vacanza a Monaco di Baviera dal 30 al 31 Dicembre, prima di arrivare a destinazione però, io e la mia famiglia abbiamo deciso di fare una piccola sosta a Dachau, dove si può visitare gratuitamente uno dei primi campi di concentramento risalente al periodo nazista.
Io ci ero già stata qualche anno prima con la scuola ma non conoscevo bene il tedesco, così molte informazioni mi erano sfuggite, quindi ero più che emozionata di ritornarci.
Pioveva molto e c'erano dei residui di neve non ancora sciolta per terra, fango e ghiaccio ovunque, credo fosse il clima perfetto per poter apprendere appieno un posto del genere.
Già l'entrata di per sé metteva angoscia e tristezza, si trattava di un cancello di ferro con su scritto “Arbeit macht frei” ovvero “Il lavoro rende liberi”, frase che avevo solo letto nei libri e sentito raccontare, ma trovarcisi difronte è tutt’altra cosa.
Appena entrati si estendevano davanti a noi ettari di puro e innevato niente. Girando lo sguardo sulla sinistra abbiamo poi notato due grandi baracche e dietro a esse due lunghissime file di inesistenti costruzioni indicate dalle sole fondamenta: erano state precedentemente abbattute, dopo la fine della guerra, e divise da un viale più che macabro.
Alla nostra destra invece si ergeva un edificio austero, al suo interno si trovavano originariamente uffici e sale esperimenti, ma oggi ospita un museo esplicativo sul campo di concentramento.
Dachau è risultato essere l'esempio organizzativo dal quale hanno preso spunto tutti gli altri Lager della Germania nazista.
Nel museo, oltre ad esserci dei cimeli originali usati dalle SS e dai prigionieri, si potevano osservare delle foto d'epoca scattate per esempio durante gli esperimenti scientifici dove il prigioniero, già senza nome, si ritrovava ad essere una cavia.
Immagini molto forti ed esplicite venivano mostrate sui i pannelli illustrativi, tanto che era molto difficile rimanere impassibili dinanzi a tanto orrore.
Una volta usciti dal museo ci siamo addentrati in una delle due baracche ancora intatte. All'interno si potevano notare delle ricostruzioni fedeli all'originale dei "letti" sopra i quali dormivano.
Certo se si possono chiamare delle costruzioni di legno grezzo simili a dei loculi, letto.
I bagni erano solo una sfilza di gabinetti malconci e c'era un unico lavandino simile ad una fontana dove spesso, stremati dalle condizioni disumane in cui si trovavano, molti si toglievano la vita impiccandosi.
Con il cuore già pieno di angoscia e pietà per questi poveri uomini, ci siamo diretti verso la fine dell'enorme viale che costeggiava le file di baracche. Dinanzi a noi c'era un enorme costruzione cilindrica degli anni '60 con all'interno un altare, luogo di preghiera per commemorare le vittime della strage.
Da questa costruzione girando a sinistra ci si addentrava, superando un ponte, lungo una stradina che ci avrebbe condotto in uno dei posti, secondo me, più significativi e orribili che l'uomo abbia mai creato. Posto nascosto, tra l’altro, agli altri prigionieri onde evitare pericolose ansie.
Tutto l'edificio era costruito in modo accurato e ben pensato, se qualche prigioniero era contaminato lo si faceva passare prima da tunnel situati all'esterno, dove il prigioniero veniva chiuso all'interno e gli venivano sparate dentro sostanze disinfettanti, vi lascio solo immaginare il dolore e la paura di stare lì dentro, eppure questo non è tutto. Dopo essere stati “disinfestati”, i malcapitati dovevano entrare all'interno della costruzione, qui dovevano prima attendere nella sala d'attesa, dopodiché entravano in una grande sala dove si spogliavano completamente e venivano invitati ad entrare in una stanza attigua per farsi una doccia. Doccia che risultava per loro fatale. Dopo questa "doccia" i corpi ormai senza vita venivano portati nella stanza accanto dove venivano bruciati nei forni crematori. Le uniche persone che erano a conoscenza di questo posto e dell’uso che se faceva erano le SS e i prigionieri che ci lavoravano all'interno.
Usciti da queste stanze ci siamo guardati mestamente e abbiamo preso un grosso respiro rinfrancati dall'aria fresca, immaginando con dolore chi, purtroppo, quel respiro non è riuscito più a prenderlo.
La nostra esperienza poi è finita là, siamo usciti e ci siamo messi in viaggio per Monaco, con la consapevolezza che quello che avevamo appena vissuto e visto non debba mai e poi mai essere dimenticato: il camminare nel fango tra il freddo e la pioggia, entrare in una sala doccia buia e piccola con il cuore carico di speranza e uscirci, invece, senza vita.
Osservare sulle foto le facce spaventate e assenti di persone innocenti che si sono ritrovate ad un punto di non ritorno mi ha fatto riflettere molto sulla cattiveria umana e su quanto questa possa essere causa di orrore e distruzione.
Non mi sento di continuare a descrivere quello che è stato il seguito del viaggio, perchè credo che un argomento come quello appena condiviso meriti un post tutto suo. Sono certa che comprendiate e condividiate questa scelta.
Scriverò prossimamente un articolo riguardante Monaco con argomenti decisamente meno impegnativi.
A presto, vi lascio con una toccante e tristemente veritiera poesia di Primo Levi
Se questo è un uomo (1947)
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.